Lo Spot blasfemo della patatina Chips non è molto distante da come l’Eucaristia viene spesso trattata

Lo spot blasfemo della patatina Chips, che ha fatto dell’Eucaristia oggetto di derisione, è stato in questi giorni rimosso – o così sembrerebbe – a seguito delle sacrosante proteste del popolo, ed in particolare del Comitato di Controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, proteste alle quali bisogna accodarsi. Lo spot era blasfemo e derisorio e offendeva il sentimento religioso di un paese, che religioso non è più, ma che continua comunque ad avere una discreta porzione di cattolici, ultimi superstiti del secolarismo selvaggio.

Se ci scandalizziamo per lo spot (e sia chiaro che essersi scandalizzati è necessario e lecito), altrettanto dovremmo fare, però, per come viene talvolta trattata l’Eucaristia nelle Chiese, per mano di una parte dei fedeli e del clero – non tutti, ripeto, ma da una parte di essi. Non è solo lo spot che richiede l’azione e la preghiera del fedele; è anche e sopratutto la situazione reale, la quale supera, per derisione, de-sacralizzazione e ridicolizzazione, la follia blasfema dello spot. Se lo spot è la punta dell’iceberg, quel che accade nel mondo reale è il corpo dell’iceberg stesso.

Lo spot, così tremendamente blasfemo e parodico, manifesta un problema reale, stratificato e presente nella Chiesa, cosparso a macchia d’olio nella società mondiale, e che tocca direttamente le componenti più intime della fede, in ognuno dei fedeli. La profanazione eucaristica è di fatto una realtà che coinvolge la Chiesa stessa. Così scrive un parroco nel blog di Aldo Maria Valli: «la distribuzione dell’Eucaristia, così come viene fatta da tanti sacerdoti, sembra proprio una distribuzione automatica di patatine, e di conseguenza il modo con cui i fedeli la ricevono non può essere diverso. Nella stragrande maggioranza delle nostre chiese l’Eucaristia è stata banalizzata sotto tutti gli aspetti, e ciò è dovuto alla perdita del senso del sacro, del rispetto della liturgia, della dignità della celebrazione, della consapevolezza di ciò che si va a ricevere.».

Continua: «È dovuto anche al fatto che non si ricordano più le condizioni necessarie per accedere alla Comunione. Troppa superficialità, troppa faciloneria, troppa irriverenza, troppa incoscienza, tanto nei preti quanto nei fedeli.».

L’Eucaristia profanata ha un duplice effetto, negativo da entrambe le parti: da una parte lascia indifferenti chi non è interessato a Dio, rafforzando ulteriormente l’idea che l’Ostia sia solo un pezzo di pane simbolico fine a se stesso (se lo vedono trattato come tale, continueranno a credere che così dev’essere trattato); dall’altra, offende tutti coloro che sanno esattamente cosa sia e in cosa consista l’Ostia, rafforzando sentimenti di rancore e di rabbia nei confronti della Chiesa.

La profanazione Eucaristica produce un rapporto di causa ed effetto disastroso, capace di dividere il Corpo Mistico e di causare malumori e malcontenti, con ripercussioni sociali e spirituali non indifferenti tanto sul singolo quanto sull’intera comunità. Vi sono fedeli che scelgono deliberatamente l’abbandono di una parrocchia, o della Chiesa tutta, sulla base di come venga trattata l’Eucaristia e delle ripetute profanazioni al Sacro e al Divino. Persone che dicono basta a ciò che vedono, cadendo, di contro, nell’inganno diabolico di abbandonare la Barca. Se cambiare parrocchia può essere lecito, e talvolta doveroso, non lo è di contro abbandonare “per intero” la Barca di Pietro.

Lo spot è la conseguenza di un paese de-cristianizzato, votato al mondo e alle sue culture pagane e mondane, e che non nutre più interesse per l’esistenza di Dio. Tanto più un popolo si allontana da Dio, quanto più saranno le opere che fanno di Dio oggetto di derisione, umiliazione e parodia. La pubblicazione dello spot che deride l’Eucaristia è conseguenza di un paese disinteressato all’Eucaristia da almeno 70 anni; il “prodotto” venduto sul mercato riflette la condizione culturale e morale di un intero paese.

Siamo arrivati a profanare l’Eucaristia in uno spot televisivo partendo da piccole derisioni e mancanze di rispetto nei confronti della Chiesa, inizialmente rivendute come “diritto di espressione”, per poi passare a fare della derisione e del mancato rispetto un atteggiamento socialmente accettato, perfettamente normalizzato nella psiche dell’individuo. E un popolo abituato alla continua derisione di Cristo, prima o poi finisce per vedere in quella derisione un modello artistico di espressione, con la conseguenza di creare un prodotto appositamente concepito per deridere – convinto che sia “arte” e che sia, di conseguenza, una forma di espressione lecita.

Ma arte non è e non può essere; le cose vanno chiamate per ciò che sono, bene si chiama bene e male si chiama male. Le derisioni all’Eucaristia vanno sempre denunciate, possibilmente con carità e bontà d’animo; che siano in uno spot o nel reale, siamo chiamati a difendere il Sacramento, frutto del Cristo risorto, poichè non è rimanendo indifferenti che si argina il problema; di contro, si rischia di lasciarlo lì dov’è senza nessuna conseguenza. Solo ritornando a Dio potremo ritornare al senso del Sacro, smettendola così di essere scimmie di noi stessi.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.