Recensione | Lion

Ho visto questo film al cinema ed è stato uno dei piu commuoventi che abbia mai guardato in vita mia. Ha toccato la mia sensibilità e un’anima intera di sentimenti. E’ senza dubbio uno dei film più belli che abbia mai visto. Ammesso fin da subito l’elevato grado di decoro e fedeltà all’evento reale di questo progetto, che potrei definire un biopic di razza, è inevitabile che scriva quindi una recensione, che sarà contemporaneamente una recensione sul film a sé ed un analisi della testimonianza che questo lungometraggio porta al mondo, analizzando i suoi significati e la sua validità educativa e significativa, che non sono “come” quelli di un film comune inteso come opera fittizia e di invenzione. Non che un film “irreale” non possa trasmettere altrettanto, ma qui siamo dinanzi una storia vera che porta a noi dei valori e dei temi direttamente da una sorgente reale.

Il film ci porta una testimonianza drammatica fatta di luce e ombra, male e bene, dove una delle più alte tra le sofferenze possibili non porta la speranza e la gioia a venire sconfitte. Trattando e trasportando un contenuto realmente accaduto, non potevano di certo costruire un drama modellato secondo i protocolli dei contenuti cinematografici. E questo lo sapevano bene, quelli che volevano tradurre su schermo la storia di questo piccolo bambino indiano che ha affrontato la vita come un leone. Questo film è diviso in due parti distinte e credo che la prima sia una delle più importanti testimonianze di tipo sociale e umanitario in circolazione. Penso che questo progetto, questo film, sia importante e abbia una precisa valenza storica.

Lion è un opera diretta da Garth Davis, tratta dalla storia vera di Saroo Brierley, e qui sceneggiata da Luke Davies, che ha tratto il materiale dal libro di memoria A Long Way Home, scritto dal vero Saroo. Questo film è una testimonianza come poche altre al mondo. Una testimonianza che qui viene resa disponibile attraverso uno dei mezzi di espressione più potenti al mondo: il cinema. Visto al cinema domenica sera ed è il primo film visto sul grande schermo in questo nuovo 2017. E’ stato uno dei pochissimi film per cui ho pianto. Commuovente come pochi. E forse non capitava dai tempi di Il Miglio Verde, nel 1999, di commuovermi così. Lion racconta la vera storia di Saroo Brierley (d’ora in poi Saroo). Saroo è un bambino indiano nato nel 1981 in un piccolo villaggio dell’India, il villaggio di Ganesh Tilai, nei pressi della città di Khandwa, a ovest della nazione asiatica.

download.jpegE’ il 1986. Una sera, suo fratello maggiore Guddu lo avvisa che sarebbe andato a svolgere un lavoretto notturno (la ricerca di denaro perduto dai passeggeri nei binari delle stazioni, per cercare di comprare del cibo) a 70km a sud del villaggio, presso la stazione di Burhanpur, e Saroo chiese se poteva venire. Inizialmente titubante se portare o no il fratellino di 5 anni, sotto le insistenti richieste dello stesso, Guddu acconsentì Saroo a venire. Così Saroo si ritrova, una sera del 1986, nella stazione di Burhanpur assieme al fratello maggiore. Saroo è stanco, non si regge in piedi e decide di sedersi su una panca. Guddu lo avvisa che si sarebbe allontanato per il lavoro, stando comunque nei paraggi, e che sarebbe tornato in breve tempo. Saroo rimane così ad aspettarlo sopra la panca, disteso e assonnato, dentro la stazione ferroviaria della città. Poco dopo, Saroo si sveglia e suo fratello non è ancora tornato. Egli è stanco e vuole tornare a casa. Parcheggiato su un binario, nota un treno. Saroo, convinto che suo fratello Guddu possa trovarsi li, ci sale sopra e inizia a cercarlo. Non lo trova. Convinto che da un momento all’altro suo fratello sarebbe spuntato, Saroo si accovaccia in un angolino all’interno di un vagone. Assonnato com’è, si addormenta. 

Il giorno dopo, Saroo si sveglia dentro il treno, che ora è in movimento, e non è più parcheggiato presso la stazione di Burhanpur. Saroo si ritrova così sveglio, solo in un treno deserto, privo di persone, in viaggio da non si sa quanto tempo e verso non si sa dove, e inizia a urlare il nome di suo fratello Guddu. Il treno viaggia, viaggia e viaggia ancora per molto, circa 2 giorni, e non si ferma mai. Saroo si ritrova così a vivere 48 ore chiuso dentro il treno, impossibilitato dallo spostarsi da un vagone ad un altro considerando che non ci sono porte che connettano una carrozza ad un altra. Dopo 2 giorni di viaggio, il treno, finalmente, si ferma. Giunge presso una stazione dell’India. Saroo si ritrova così nella stazione di Howrah, nella megalopoli di Calcutta. Saroo ha 5 anni, è solo e si è ufficialmente perso in una citta con oltre 10 milioni di persone. E’ distante più di 1.500km da casa. Così ha inizio la sua storia, che sarà poi da lui scritta e pubblicata come libro nel 2012, fornendo una delle testimonianze più toccanti di sempre. Saroo, una volta sceso nella stazione di Calcutta, non rivedrà mai più la sua famiglia per 25 anni.

download (5).jpegCome è andata, lo si può sapere leggendo il suo libro, guardando il film o anche solo leggendo la sua storia su wikipedia. Posso raccontarvelo io, e penso proprio che lo farò, fino ad un certo punto. La prima parte della sua storia ci mostra il piccolo Saroo nelle strade dell’India. Perso e solo nella grande città di Calcutta, Saroo vive e si ritrova sbattuto in faccia la prima grande piaga della civiltà umana: l’indifferenza. Saroo è piccolo e vaga nella stazione dell’India in cerca di aiuto, ma ogni persona che incontra se ne infischia. I poliziotti lo ignorano, le persone pure, gli operatori della stazione pure. Egli è solo e disperato e il suo grido di aiuto non lo ascolta nessuno. Fa di tutto per cercare aiuto. Si mette dinanzi gli sportelli dei biglietti e nomina il nome del suo villaggio, in modo pure sbagliato, e nessuno lo ascolta. Mentre è in fila, lo spintonano e lo spingono, con uomini adulti che quasi lo schiaffeggiano dicendogli di smetterla di importunare la fila mettendosi davanti. Saroo si allontana. L’indifferenza è ovunque. Agli occhi del passante di turno, Saroo non è nient’altro che un corpo vagante che non necessita di attenzione.

Arriva la notte, fa freddo e Saroo si accovaccia in un angolino in un sottopassaggio della stazione. Davanti a lui, dall’altra parte, ci sono dei bambini di strada abbandonati, sporchi, che dormono sopra i cartoni, abbandonati a loro stessi, fagocitati dalla crudezza della vita di strada e inghiottiti, anche loro, dall’indifferenza dei passanti. Questo piccolo passo fà luce sulla realtà dei bambini di strada abbandonati. Poco dopo, piu avanti nella notte, questi bambini vengono presi e portati via, con la forza, da alcuni uomini. Saroo riesce a scappare e a non farsi prendere da chi, a sua volta, voleva prenderlo e portarlo via. Ha 5 anni e vive la prima fuga da uomini che vogliono prenderlo per non si sa quale ragione.

Per due settimane, Saroo vive come un bambino di strada. Non si ciba nè si lava. Dorme nei sottopassaggi della stazione e raccatta pezzi di cibo sparsi per terra per cercare di inghiottire qualcosa. Questa è la vita che fa e tutto avviene sotto gli occhi dei passanti. Nessuno se ne cura. Poi, un giorno, un giovane ragazzo indiano lo ferma e gli chiede cosa gli è successo. Saroo racconta la sua storia e poco più tardi in mattinata si ritrova nella stazione di polizia, che prova poi ad aiutarlo, lo segnala, lo scheda e diffonde la sua foto alla stampa, nel tentativo di rintracciare la sua famiglia. Successivamente viene affidato ad un orfanotrofio. L’aiuto umano, alla fine, arriva, ma dopo due settimane di indifferenza. Ci voleva un giovane poco più che adolescente che prendeva un caffe al bar per accorgersi di lui.

download (4).jpegSaroo passa così una parte della sua vita in una casa giovanile. L’aridità di sentimenti, le punizioni date ai bambini che disobbediscono, le severe lezioni scolastiche e quant’altro. Tutto questo lo vive in prima persona. Gli viene tolto quel calore perduto che, lasciato la famiglia, non avrà ancora per un pò di tempo. Poi la Indian Society for Sponsorship and Adoption si interessa a lui e inizia a visitarlo regolarmente. Lo aiuta pure a cercare la sua famiglia, ma non riescono, dopo molteplici tentativi, a trovare la madre. Così viene ufficialmente dichiarato come bambino perduto e, poco più avanti, viene adottato dalla famiglia Brierley, nell’isola di Tasmania, in Australia. Ecco che finalmente trova carità e un nido che possa accoglierlo, levandolo dalla povertà e dalla solitudine dell’orfanotrofio. Qui, trova una cosa che ha perduto, la famiglia, solo rapportata ad un modello di cultura occidentale.

Tolto il lavoro da bracciante di sua madre, la casa di marmo, l’assenza di energia elettrica, le terre aride, il villaggio, la povertà estrema, la meccanica del baratto (pietre in cambio di cibo), la sporcizia del villaggio, ora si ritrova in una splendida casa occidentale dotata di tutto, di ogni comfort e di ogni desiderio, e deve ora imparare ad usare la forchetta e il coltello, a lui sconosciuti, così come inizia ad imparare la lingua inglese e a dimenticarsi la lingua dialettale hindi. La sua nuova vita cancella le brutture e le sofferenze di quella vita da bambino perduto che ha vissuto nel 1986. Ora ha due genitori pieni di amore che lo amano. Ha una casa. Vive in una regione bellissima. Dopo le tenebre, la luce.

Poco tempo dopo, la famiglia adottiva prende un altro bambino dallo stesso orfanotrofio, così Saroo guadagna un fratellino adottivo. Un bambino che però ha dei problemi e con il quale la convivenza non è chiaramente delle più facili. Ma i genitori accettano questa croce e crescono così due bambini. E qui si chiude la prima parte. La seconda, vede Saroo adulto, studioso, poi fidanzato, ma mai in pace con se stesso. E’ ossessionato dal desiderio di ritrovare il villaggio perduto dove è nato, di ritrovare la sua famiglia, suo fratello Guddu, sua sorella e sua madre. Così cerca, ogni notte, di trovare quel villaggio in cui ha passato i primi 5 anni della sua vita sfruttando la tecnologia, e nello specifico google earth. Passa cinque anni su google earth, setaccia ogni stazione dell’India, restringe il raggio di ricerche, fa di tutto per sfruttare ogni centesimo della sua memoria e dei suoi ricordi visivi per cercare di riconoscere il villaggio perduto.

c8d2320da2d16af71e56378113957ec9Possiamo notare come ogni capitolo della sua vita rappresenti qualcosa. Quando si ritrova nella stazione di Calcutta, appena arrivato dopo 2 giorni di viaggio, il film riflette e proietta i grandi mostri della società d’oggi. Il primo è l’indifferenza, che ho già nominato. Quando invece si ritrova solo e sperduto, il film pone la luce del proprio faro laddove ci sono i bambini di strada perduti e abbandonati, dimenticati dall’uomo, perennemente nell’ombra. Quando la vita di Saroo si sposta in orfanotrofio, il film dirige la luce del faro laddove ci sono i bambini orfani, senza famiglia, dimenticati anch’essi dall’uomo. La famiglia occidentale e la vita in Australia di Saroo mostra tutte le differenze sociali e storiche tra la società occidentale, più ricca ed agiata in linea di massima, e la società indiana, che ancora in moltissime zone e villaggi è ancorata ad un modello di vita stanco, pesante, sporco e degradato. Tutto ciò si riflette e acquista nuova luce mediatica. Quattro punti, quattro temi, quattro ferite sociali che il mondo porta, quattro elementi specifici che qui vengono messi in mostra e denunciati, nonché messi in rilievo, attraverso la vita del piccolo bimbo indiano. Saroo è un bimbo che si è perso nell’isola del mondo e che ha combattuto con tutto sé stesso per ritrovare la barca dove stava vivendo il passaggio dei mari e degli oceani, che sono la vita stessa. La profondità della sua storia è anche fin troppo grande che anche parlandone per migliaia di anni, penso non si riuscirebbe a percepire realmente quello che significa. Bisogna sentirlo nel cuore. 

Penso che la testimonianza di Saroo sia un bene per chiunque e che ognuno di noi possa trarne qualcosa di personale. Anche se fosse solo vagamente un ispirazione. La prima parte, quella del 1986 che lo vede come bambino perduto e poi in orfanotrofio, serve per riflettere su quella serie di temi sociali spesso dimenticati dall’uomo che ho già esposto. Così la sua storia, qui dipinta e rappresentata attraverso una rappresentazione storica perfettamente attinente alla fonte (non c’è una virgola diversa da quanto accaduto), con la serietà del drama e la necessaria maturità di regia, serve non tanto per illuminare la vita di Saroo come opera fine a se stessa, ma per illuminare tutti coloro che vivono quello che lui ha vissuto e tutti coloro che la sua situazione la vivono ancora oggi, evocando la memoria e la realtà storica, sopratutto quelle realtà che esistono ma che i grandi mezzi di comunicazione ignorano.

26164097920_984127a6b5_oSaroo è una “scusa”, uno strumento di Dio, per portare l’uomo nei grandi territori dimenticati, quali i bambini di strada, la povertà sociale e l’infanzia rubata dei bambini orfani, mettendo in luce uno dei co-protagonisti di questo film, l’India e i comprimari ombra di Saroo, ovvero tutti gli altri bambini che han patito o patiscono quello che lui ha vissuto. Saroo è un esempio di come la vita può venire affrontata con la forza della sopravvivenza, con il coraggio di un leone. Questo film-testimonianza mette in luce una pluralità di temi che meriterebbero di essere oggetti di discussioni, di riflessioni e di studi negli istituti scolastici. Perchè è un film che mostra, denuncia e fà riflettere. Il progetto è riuscito in ambedue le parti. Da una parte, l’attinenza totale e pedissequa alla fonte, quindi piena aderenza ai fatti reali senza che un secondo della storia vera sia stato smosso, modificato o personalizzato in virtù di una ipotetica strumentalizzazione necessaria per i gusti di mercato. Il suo essere true-to-source è totale e quanto viene descritto e mostrato è pari al vissuto originale.

Dall’altra, il livello di trasporto dei contenuti e la loro “materializzazione” sotto il profilo qualitativo, con tutti i significati e i momenti più importanti trattati con la dovuta sensibilità. Quindi un progetto d’eccellenza sia come costruzione tecnica e letterale degli eventi che come qualità di rappresentazione degli stessi. Il film trasferisce e compone perfettamente gli eventi graduali e la concatenazione di situazioni del piccolo Saroo, da quando è piccolo fino all’età giovanile. La serietà e la maturità di narrazione è eccellente e la produzione conferisce l’ambiente, la regia, la credibilità e la sospensione dell’incredulità necessaria per dare sfogo ai vissuti del piccolo indiano. Tutto è credibile. Siamo nella vita reale di Saroo ora nel 1986, ora nel 2012. Il film è forte di un realismo perfettamente riuscito, crudo e duro, e ben mostra la fattispecie di questa testimonianza nella sua pluralità di sfaccettature, dal degrado sociale alle personalità delle persone coinvolte. 

Possiamo quindi analizzare la testimonianza di Saroo e ricavare così dei significati grandi quanto il cielo, traendo anche il motivo di tutto quello che il piccolo Saroo ha vissuto. Io credo che Dio permetta il male per finalità di bene. Egli permette che determinate cose accadano per ricavare un bene maggiore. Così se ha permesso che il piccolo Saroo si perdesse, finisse in strada e ritrovasse la sua famiglia 25 anni dopo, un motivo ci sarà. E, guardando questo film o semplicemente leggendo o “vivendo” la sua testimonianza, si capisce anche quali siano questi motivi. La sua sofferenza, è sicuramente servita non solo per se stesso ma anche per tanti altri, che come lui han passato sofferenze analoghe. Da forza a chiunque sia nella stessa situazione. Il suo vissuto penso che sia servito per dargli una missione, per renderlo un missionario dei bambini perduti, per dare a lui uno scopo maggiore di una “semplice” vita. Penso che fosse nei piani di Dio quello che lui ha passato e che Dio, per lui, avesse dei progetti. E così è stato. Grazie alla sua testimonianza, oltre ai vari effetti collaterali ottenuti (e che continuano a venire fuori nel corso del tempo), viene anche e principalmente fatta luce sulla realtà dei bambini che ogni anno si perdono in India. Sono più di 80.000 l’anno. 

1484793654790Lion è una bellissima storia, “involontariamente” attinente alle virtù e ai temi cristiani, quali lotta, carità e speranza. Infatti la speranza è il nocciolo, l’informazione sotto-intesa, invisibile ma presente, che trascende la materia e si insinua come risorsa spirituale lungo tutto il percorso della storia, perennemente visibile ad un occhio analitico dietro ogni fotogramma. Il motore che alimenta la vita di Saroo è la speranza. Il sogno di ritrovare la sua famiglia è mosso dalla speranza e le azioni di ricerca sono continuamente dettate dalla stessa speranza che un giorno ritroverà il suo tesoro perduto, come un pirata in cerca dell’isola che non c’è. Quando si perde nella stazione è mosso dalla speranza di ritrovare la strada di casa. Speranza che non ha mai abbandonato neanche sua madre, come ci è dato sapere dalle informazioni storiche rivelate dal vero Saroo e come poi si scopre anche nel film. L’atteggiamento di Saroo e la risoluzione della sua vita sono esemplari. La sua è tutta una testimonianza di esperienze di vita difficili, “involuta” ma vissute grandiosamente, nel nome della forza che ci porta a reagire dinanzi le difficoltà e nel nome della speranza eterna che non abbandona mai il nostro cuore. Ha avuto paura, tanta paura, ha sofferto e ora lo racconta, perchè ce l’ha fatta.

lion3Non voglio dirvi necessariamente come finisce e come prosegue, lascio a voi il piacere di farlo (anche se, essendo una storia vera, si “dovrebbe” sapere), ma sappiate che qui la sofferenza è come non mai valorizzata da una parabola morale di successo. Essa non porta la persona a perire sotto il peso della sua stessa sofferenza. La sofferenza non lo schiaccia, ed egli non si abbandona alla disperazione. La sofferenza non è qui motivo per lamentarsi ma piuttosto per reagire accettando serenamente quanto capitato. E l’epilogo è il tripudio della gioia, nonché il trionfo della speranza. Lion serve da documento che apre le porte verso un modello di realtà spesso sconosciuto a molti. Contemporaneamente omaggia e tributa il percorso di vita di questo piccolo Saroo ponendo in luce le tematiche di riferimento, sociali e umane, che tanto scottano. Poi, è una testimonianza di vita che può servire da lezione ed essere usata da riferimento nelle difficoltà della vita di tutti i giorni. Infine, imprime su celluloide il ricordo di Guddu, fratello maggiore di Saroo. Se avete letto la vera storia, sapete come è poi finita, per lui. Di Guddu non ci sono foto, non ci sono documenti sulla sua esistenza. Nessuno, prima che questa storia venisse a galla, sapeva di lui. Pochissimi l’hanno conosciuto nella sua breve vita terrena. Egli vive solo nel cuore e nei ricordi di Saroo. E penso che questo film e la sua storia vivrà nei nostri, d’ora in poi.


Lion

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  • Regia: Garth Davis
  • Sceneggiatura: Luke Davies
  • Musiche: Hauschka | Dustin O’Halloran
  • Cast: Dev Patel, Rooney Mara, David Wenham, Nicole Kidman
  • Durata: 118 minuti
  • Anno: 2016
  • Box Office: $139.000.000
  • Like personale: 90%+
  • Edizione consigliata: blu-ray

4 pensieri su “Recensione | Lion

  1. Film profondo, commovente e che fa riflettere su molte questioni importanti… Dalla drammatica situazione in cui vivono, o meglio sopravvivono, i bambini indiani( e di conseguenza alla nostra condizione di privilegiati ) , alla delicata e coraggiosa( e comunque meravigliosa! ) tematica dell’adozione

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